La terrazza fiorita di rose La duchessa Di Flores ricordava che nella sua lontana giovinezza, quando voleva attirare nel suo salone uomini famosi per intelligenza o per galanteria, usava far loro sapere, in modo garbato e indiretto, che al ricevimento avrebbero preso parte giovani e belle donne. Adesso, vecchia di ottant'anni, ma ancora arzilla e maliziosa, vigile e giovane di spirito nonostante la solitudine in cui la sua fortuna alquanto diminuita la costringeva a vivere, in una sua villa campestre, metteva in opera lo stesso mezzo per attirare i suoi numerosi nipoti, quasi tutti brillanti ufficiali sparsi nei varî reggimenti dell'esercito italiano. Quando sapeva che qualcuno di essi andava in licenza, scriveva invitandolo nella sua villa, almeno per otto, almeno per tre, almeno per due giorni, e non mancava di accennare a qualche sua ospite giovane e bella. Conoscendo l'umore dei suoi discendenti, l'esca variava a seconda: per cui al suo ventenne pronipote Beniamino (di nome e di fatto) scrisse che l'ospite, pronipote di una sua amica di giovinezza, era un pallido fiore di loto galleggiante ancora nelle limpide acque di una purissima fanciullezza. Beniamino aveva dunque venti anni: figlio unico d'una nipote della duchessa e di un ricco industriale, allevato fra l'incuranza paterna e lo sfarzo indolente materno, ne aveva già fatte di cotte e di crude: nel suo attivo c'erano molte cattive amicizie, un tentativo di fuga dalla casa dei genitori, bocciature che ogni anno maturavano con le zucche, tre anni di collegio militare, debitucci di gioco e altre piccole cose: con tutto questo, già sottotenente di cavalleria, bel giovane, con un metro e settanta di statura e novantotto centimetri di torace, Beniamino non conosceva quasi ancora la donna e sognava una fidanzata della quale voleva essere il primo e l'ultimo amore. E la duchessa lo sapeva. Beniamino non amava la vita militare, che è un po' come la luna, brillante di lontano e aspra e pietrosa da vicino: quindi non amava neppure la divisa: quindi si vestì in borghese per andare dalla duchessa. Il viaggio era lungo e noioso: per fortuna egli riconobbe in treno un suo compagno di collegio, anche lui appena uscito dalla scuola allievi-ufficiali; e fra i racconti, le spacconate, le narrazioni di avventure galanti straordinariamente fantastiche, e sopratutto le storielle spiritose, le ore passavano rapide e inavvertite come i paesaggi fuori dei finestrini dello scompartimento. Basti dire che a poco a poco anche gli altri viaggiatori si misero ad ascoltare come incantati: e di tratto in tratto una risata generale faceva coro al recitativo dei due. Per dare un'idea di questi meravigliosi racconti basta riferirne uno, inventato o plagiato dal compagno di collegio. - Dunque si deve sapere che in Francia i trasporti funebri in ferrovia costano enormemente: allora, due fratelli di nobile famiglia decaduta, dovendo far trasportare da Lione a Parigi un terzo loro fratello morto, pensarono di vestirlo di tutto punto e in carrozza lo condussero alla stazione: poi lo presero sotto braccio, uno da una parte l'altro dall'altra, e lo portarono in uno scompartimento ancora vuoto, lo adagiarono bene in un posto d'angolo, col cappello tirato sugli occhi, in modo che pareva dormisse, e per non dar sospetto, loro si misero in uno scompartimento molto avanti. Or ecco che ad un'altra stazione sale un viaggiatore e prende posto nello scompartimento del morto. Bisogna avvertire che era notte e mezzo treno dormiva: quindi il viaggiatore non si meravigliò del profondo sonno del suo compagno; un bel momento, anzi, si addormenta anche lui. Ma un altro bel momento si sveglia e con terrore vede che il suo fino allora poco importuno compagno è stramazzato a terra e si muove solo per il traballamento del treno. Premuroso egli si precipita sul disgraziato, lo scuote, lo solleva, lo interroga, e infine si accorge che è morto. - È morto, è morto, - pensa, con le mani fra i capelli, - e adesso Dio sa quante seccature avrò, se pure non mi accuseranno di averlo ucciso io. Allora, cosa fa? Piglia e butta fuori dal finestrino il morto, col cappello bastone e tutto. Ed ecco si arriva a Parigi, e i fratelli del morto vanno nello scompartimento per rinnovare il giochetto fatto alla stazione di Lione: prelevare cioè il caro cadavere, farlo scendere, condurlo in carrozza alla tomba di famiglia. Che è che non è, guarda qua, guarda là, il morto non si vede più. Disperati interrogano il viaggiatore che tira giù le valigie e pare un bravo uomo. - Per piacere, signore, non ha veduto lei qui un viaggiatore che dormiva? - Sì, sì - risponde l'altro, gentilissimo. - L'ho veduto. È sceso all'altra stazione. Arrivati anche loro, Beniamino e il compagno, alla piccola stazione del paese dove abitava la duchessa, scesero assieme. Scesero assieme perché durante l'ultimo tratto di viaggio erano rimasti soli e Beniamino aveva confidato all'altro lo scopo intimo della sua visita alla bisnonna, vale a dire la certezza di ritrovare finalmente la fidanzata ideale. - Nonnina però, sebbene ami la gioventù, è molto austera e non mi permetterà di stare neppure un momento solo con la fanciulla. Tu dovresti accompagnarmi: avrai un'ospitalità regale. Farai un po' di corte a nonnina, ed io potrò così fare una passeggiatina in giardino con la fanciulla. - Ma bravo! Tenerti il moccolo e addizionare i miei venti agli ottant'anni della duchessa per formare un secolo giusto. Bravo davvero! Ma poiché erano tutti e due buoni e bravi ragazzi davvero, si misero d'accordo e scesero assieme. La notte era calda, serena. Grandi stelle verdognole illuminavano il cielo scuro, e i due giovani camminarono per un pezzo col viso in aria quasi orizzontandosi al loro chiarore. Del resto la strada lievemente in salita era abbastanza rischiarata dai lumi dei casolari e da un fuoco di stoppie che ardeva in un campo: e la villa della duchessa era lì a due passi, bianca sullo sfondo nero e stellato degli alberi del giardino. Già se ne vedeva il profilo merlato; e un profumo di rose, a tratti, pareva illuminasse l'aria. - Nonnina ha la passione delle rose - spiega Beniamino con una voce che non pare più la sua; una voce tenera, musicale, colorita anch'essa di quel profumo e dei riflessi delle stelle. - Ne fa venire le piante da tutte le parti del mondo, anche dalla Persia, e il giardino, la casa, le terrazze ne sono sempre piene. - È il profumo che più amo - disse l'altro, serio e grave. - Quando odoro una rosa sento uno stordimento misterioso; mi ricorda come una vita anteriore, bellissima. Intanto erano arrivati sotto la villa: una figura di donna, tutta vestita di nero, con un fazzoletto nero legato a benda intorno alla testa, stava seduta immobile sul paracarri della strada e guardava verso la valle. Dall'altra parte della strada la villetta appariva silenziosa, con solo qualche finestra all'ultimo piano, dove dormiva la servitù, debolmente illuminata: pareva che già tutti si fossero ritirati, ma quando i due amici si avvicinarono al cancello, Beniamino si meravigliò di trovarlo socchiuso. Pratico del luogo andò avanti per il viale d'ingresso, e vide la terrazza al primo piano, nascosta fra gli alberi, con le vetrate aperte e illuminata; e anche lassù, fra le ghirlande di rose rampicanti che salivano dalle colonne del portichetto sottostante, una figurina bianca di donna, seduta accanto alla balaustrata, appariva immobile nell'incanto della notte. - È lei, dev'essere lei - dice sottovoce Beniamino, piegandosi sul compagno. - Quella è la camera che nonnina di solito assegna agli ospiti. E quante volte mi sono arrampicato dal portico alla terrazza per entrare di sorpresa dalla mia mamma. - Perché non lo fai ancora? Forse lei ti aspetta - dice l'altro, fra il serio e il beffardo. Un attimo; e il cuore di Beniamino palpita come quello del principe che vuol rapire la bella prigioniera dell'orco. Gli antichi istinti di animale rampicante si ridestano nelle sue vene giovani, e lo spirito avventuroso che è la parte più viva del suo carattere, eredità degli avi spagnuoli, lo prende e spinge come un vento di ubriachezza. Il lieve accento di beffa dell'amico lo ha punto: in fondo forse egli cerca l'avventura per dimostrare la sua agilità e il suo ardire; ma è anche una specie di scalata al sogno che egli vuol tentare, poiché l'occasione si presenta e il sogno si prende solo così, come i giovani cacciatori prendono l'aquila in cima alla roccia. Senza più parlare butta giù il cappello: poi rapido e silenzioso si avventa verso il portico, giungendovi quasi piegato a terra; abbraccia la colonna, vi si allunga, sale, sale, è in cima come il vincitore dell'insaponato albero di cuccagna; salta dritto sulla terrazza. Un grido incrina il silenzio cristallino della notte. - Nonnina! Perdonami. Ti ho spaventato? Volevo farti una sorpresa. La piccola vecchia sebbene spaventata gli sorride con tutti i suoi denti falsi, e mentre abbandona al bacio di lui la mano destra inanellata, con la sinistra gli dà dei colpi non troppo lievi alla testa. In un attimo tutta la villa si desta. Anche nel giardino si sente parlare e ridere, e Beniamino dice che ha lasciato giù il suo amico. Allora la duchessa, non senza una punta di malizia, gli spiega che l'ospite era giù a passeggiare nella strada, in cerca di fresco: nel vedere i due uomini entrare per il cancello lasciato socchiuso da lei, li ha certo seguiti, e dietro le spiegazioni del compagno rimasto nel viale ride con lui per la prodezza di Beniamino. Ma Beniamino non si scompone, anzi, pensando che le donne che passeggiano sole la notte per le strade non gli vanno a genio, si allunga e fa il saluto militare. - Tutte le esperienze son buone nella vita. E ride bene chi ride l'ultimo.